L’impatto della quarantena su bambini e preadolescenti
Con il diffondersi del Coronavirus in Italia, i primi a confrontarsi con importanti cambiamenti nelle loro routines sono stati i bambini e i ragazzi. A fine febbraio non era difficile scorgere nelle loro espressioni un piccolo sorriso e un senso di sollievo di fronte all’esperienza della chiusura delle scuole, vissuta allora come un prolungamento delle vacanze di carnevale, ma con il passare dei giorni, parallelamente ad una maggiore consapevolezza genitoriale circa la gravità della situazione e alla sopraggiunta necessità di restare a casa per bloccare la diffusione del contagio, la percezione è mutata.
Bambini e ragazzi hanno iniziato ad entrare in contatto con le preoccupazioni dei genitori e con quelle veicolate dai mezzi di informazione e a confrontarsi con vissuti di perdita per le mancate occasioni di incontro con i pari, i nonni, gli insegnanti, per l’interruzione dei percorsi sportivi, ricreativi e terapeutici qualora in corso e per l’impossibilità di trascorrere del tempo all’aria aperta.
Naturalmente, per quanto questa situazione di emergenza stia colpendo tutti indifferenziatamente, essa può avere una risonanza emotiva diversa sui bambini a seconda dell’età, delle risorse individuali e familiari nel fronteggiare l’angoscia, nonché a seconda della presenza di specifici stressor cui la famiglia è sottoposta quali situazioni lavorative che espongono ad un rischio sanitario, recenti lutti e problematiche di salute ed economiche.
Una bambina di 5 anni, il cui papà è in quarentena preventiva perché è stato a stretto contatto con una persona risultata positiva al tampone per Covid-19, manifesta maggiore irritabilità, richiama più frequentemente le attenzioni materne, passa da un gioco all’altro mostrando difficoltà a concentrarsi su un’attività. Ad un certo punto riesce a chiedere alla sua mamma: “Ma se ti ammali anche tu, io con chi sto?”
Due fratelli di 8 e 6 anni che hanno una mamma medico sembrano apparentemente accettare la necessità della madre di lavorare in ospedale, ma la sera hanno iniziato a richiedere di dormire insieme nel lettone.
Un ragazzino di 11 anni, che apparentemente non sembra essere toccato dall’emergenza sanitaria, dopo aver finito le lezioni scolastiche mattutine in modalità telematica, trascorre il resto della giornata visionando distrattamente dei brevi video su youtube e aprendo continuamente il frigo alla ricerca di qualcosa da mangiare. Anche i videogiochi che generalmente gli procuravano piacere adesso sembrano annoiarlo.
Una ragazzina di 13 anni fa un sogno ricorrente in cui le si rompe lo smartphone e si sveglia angosciata.
COME I GENITORI POSSONO SOSTENERE LORO FIGLI NEL PROCESSO DI ELABORAZIONE EMOTIVA DI QUESTA ESPERIENZA?
Se i genitori riescono ad entrare in contatto con le proprie preoccupazioni, tenere conto della sorprendente capacità dei bambini di percepirle anche quando non espresse esplicitamente, se riconoscono la tendenza dei bambini e dei ragazzini ad esprimere i propri stati emotivi attraverso il comportamento piuttosto che attraverso le parole, allora potranno meglio comprendere l’emergere in questo periodo di manifestazioni di irrequietezza, ansia, apatia, difficoltà del sonno, comportamenti regressivi e atteggiamenti noncuranti.
E’ possibile che l’incremento dell’iperattività e la difficoltà a concentrarsi della bambina di 5 anni rappresentino una modalità che la protegge dal fermarsi ed entrare in contatto con la paura di rimanere da sola e allo stesso tempo che le permette di avere la mamma più vicina.
Possiamo chiederci se la richiesta di dormire insieme nel lettone dei due fratelli di 8 e 6 anni possa esprimere il timore che la mamma si ammali e il loro bisogno di rassicurazione che di giorno non esprimono forse perché comprendono il bisogno che tanti pazienti hanno della loro mamma medico al lavoro.
E’ possibile che la noncuranza del ragazzino di 11 anni indichi un tentativo di negare la preoccupazione e che l’apatia sia un segnale di tristezza che cerca di gestire distraendosi attraverso i video e colmando un senso di vuoto mediante un nutrimento concreto: il cibo.
Rispetto al sogno della ragazzina di 13 anni, chissà se ora che il telefono rappresenta la garanzia della continuità del legame con i pari e con le altre persone di riferimento, la sua perdita nel sogno possa rappresentare il timore di rimanere tagliata fuori.
Queste naturalmente sono ipotesi, ma porsi degli interrogativi sul significato di tali manifestazioni può avviare un processo di pensiero e, anche se non si giunge a trovare tutte le risposte, favorisce il realizzarsi di un’esperienza in cui i figli si sentono ascoltati, tenuti nella mente dei genitori.
Alcuni genitori si stanno interrogando sui potenziali effetti traumatici di questa esperienza sui figli. Un evento può configurarsi come traumatico quando non è emotivamente sostenibile per chi lo subisce, quando sovrasta le sue capacità di farvi fronte. I bambini per fronteggiare quelle esperienze che li espongono a stati di terrore devono contare sulle risorse del nucleo familiare. Il potenziale traumatico di un’esperienza sui bambini risiede allora non tanto nell’esperienza reale, ma nell’essere lasciati soli a gestire tali stati emotivi poiché le figure di riferimento ne sono loro stesse soverchiate.
I bambini hanno bisogno che i genitori si pongano come mediatori tra loro e le notizie che provengono dai canali informativi e che si pongano in ascolto di ciò che i bambini e i ragazzini hanno autonomamente compreso finora e delle fantasie che emergono e che gli servono a leggere la realtà. A proposito di fantasie, nel libro illustrato “Storia di un coronavirus” promosso dal Policlinico di Milano per offrire spiegazioni a misura di bambino, si osserva come il primo disegno rappresenti proprio la fantasia della protagonista: quella di un virus simile ad un mostro gigantesco, “sicura che la cosa che fa così tanto spaventare gli adulti […] doveva essere almeno 10 metri più grande del suo papà”. Comprendendo quali sono le preconoscenze e le fantasie dei bambini si riesce infatti a entrare in maggior contatto con le loro preoccupazioni, a rassicurarli e ad aiutarli a comprendere cosa sta succedendo. E’ così che fa la mamma del libro “Storia di un coronavirus”.
Bambini e preadolescenti hanno bisogno di mantenere delle routines, di partecipare alle attività scolastiche a distanza ed essere valorizzati nelle competenze tecnologiche che stanno acquisendo e che possono utilizzare creativamente. Necessitano che vengano garantiti loro i contatti con gli amici e con le figure significative tramite i mezzi che la tecnologia ha reso disponibili.
Hanno bisogno di percepire un senso di comunità e di protezione da parte dei genitori e della comunità adulta e di sperimentare un senso di efficacia rispetto a ciò che anche loro possono fare attivamente per “scacciare via il virus” attraverso l’aderenza alle prescrizioni.
I BAMBINI SU QUALI RISORSE INDIVIDUALI POSSONO CONTARE PER RIELABORARE L’ESPERIENZA CHE STANNO VIVENDO?
I genitori non devono fare tutto da soli, infatti i bambini spesso ci stupiscono con sorprendenti capacità di adattamento e hanno la capacità di utilizzare il gioco non solo come canale comunicativo ma anche come strumento per rielaborare le loro esperienze.
Una bambina di 3 anni inizia a giocare all’ “Asilo”. Fa la maestra che risponde al telefono: “Pronto Asilo Stella Stellina, sono la maestra Marta…. Si, si, adesso i bambini stanno giocando…. Va bene, va bene, a dopo!” e sembra così, attraverso questo gioco, ritrovare dentro di sé la buona maestra Marta e il suo buon asilo in cui i bambini giocano, sentendoli più vicini.
Un bambino di 6 anni gioca ai dottori che arrivano veloci con l’ambulanza per curare un ammalato e sembra in tal modo dare un senso meno spaventoso ai suoni dell’ambulanza che sente spesso provenire dalla strada in questo periodo. C’è infatti qualcuno che sta male, ma anche qualcuno che prontamente arriva ad aiutarlo.
Una bambina di 8 anni poco dopo l’inizio della quarantena, coinvolge un adulto di riferimento in un gioco simbolico:
B: “Facciamo che tu sei il cattivo e io ti devo sconfiggere!” dice brandendo un laccio immaginario e tentando di catturarlo.
A: “Sembri molto arrabbiata con questo cattivo, che cos’ha fatto?”
B: “Ha ucciso una vecchietta e ha rubato tantissime cose”.
Il gioco prosegue con il coinvolgimento di entrambi e la grande soddisfazione della bambina che ha la possibilità di sentirsi buona e potente, di agire un ruolo attivo; non è più “solo una bambina” che può sentirsi impaurita e piccola di fronte ad un virus che preoccupa tutti e che può uccidere: la bambina identificata con il personaggio positivo può sconfiggere il cattivo e renderlo inoffensivo.
Questo gioco rappresenta una finestra nel mondo interno della bambina, testimonia la capacità di esprimere in modo simbolico vissuti di rabbia, forse per qualcosa che sente le è stato simbolicamente rubato, di ribaltare il vissuto di impotenza e di rielaborare questi stati emotivi all’interno di una relazione, ricavandone un senso di efficacia e di sollievo.
E QUANDO IL GIOCO SIMBOLICO NON E’ PIU’ IL CANALE DI ESPRESSIONE EMOTIVA PREFERENZIALE?
Con la crescita i ragazzini tendono ad esprimersi, piuttosto che mediante il gioco simbolico, attraverso il comportamento, ma anche i sogni, le fantasie ad occhi aperti, la scrittura e il disegno possono rappresentare una finestra nel loro mondo interno. Anche i loro interessi e disinteressi parlano di loro: con chi si identificano? Quali videogiochi li appassionano? E quali timori possono essere nascosti dietro il non riuscire a farsi coinvolgere emotivamente in una qualsiasi attività? Ai genitori può apparire più complesso comprendere cosa stanno vivendo i figli ora che sono preadolescenti, ma la disponibilità all’ascolto, l’interrogarsi sul significato delle loro manifestazioni, continuano a rappresentare gli ingredienti per tenere aperto un canale di comunicazione cui i ragazzi possono accedere quando se la sentono o ne hanno più bisogno.
CHI USUFRUISCE IN QUESTO PERIODO DI UNO SPAZIO DI ASCOLTO PSICOLOGICO ONLINE?
Alcuni genitori che chiedono un confronto con me in questo periodo osservano l’emergere di segnali di disagio, in particolare irrequietezza nei loro figli e temono di non riuscire ad offrire risposte adeguate perché riconoscono in se stessi stati d’ansia, si sentono con meno energie e con meno pazienza. Talora si interrogano sugli effetti a lungo termine sul piano emotivo di questa situazione di emergenza.
I genitori, sentendo accolti i loro stati d’animo all’interno di una relazione non giudicante, riescono molto spesso ad accettarsi come genitori sufficientemente buoni, a riconoscere le loro risorse, ad individuare creativamente le modalità più adatte per comunicare con i loro figli, ad entrare in contatto anche gli aspetti positivi di questa esperienza e ad offrire così ai loro figli un maggior contenimento emotivo.
NOTA PER IL LETTORE
Per questioni di riservatezza luoghi e nomi di persone citati nell’articolo sono frutto di immaginazione e i brevi stralci di storie dei bambini e dei ragazzini citate sono state notevolmente alterate al fine di non rendere i soggetti identificabili.
AUTRICE
Giulia Dal Pos, psicologa psicoterapeuta, socia A.I.P.P.I. Associazione italiana di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Infanzia, dell’Adolescenza e della Famiglia.
Libero professionista nei territori di Treviso e Padova.
Contatti: 345 6160275
Articolo pubblicato in data 11.04.2020
BIBLIOGRAFIA
Organizzazione mondiale della sanità. Far fronte allo stress durante l’epidemia di COVID-19 http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_notizie_4169_0_file.pdf
Francesca Dall’Ara, illustrazioni di Giada Negri: Storia di un Coronavirus. Policlinico di Milano https://www.policlinico.mi.it/uploads/fom/attachments/pagine/pagine_m/78/files/allegati/546/storia_di_un_coronavirus_-_alfabetico_-_secondo_finale.pdf
Winnicott, D.W. Sviluppo affettivo e ambiente: studi sulla teoria dello sviluppo affettivo, trad. Alda Bencini Bariatti, Roma: Armando, 1974
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